La coscienza di Zeno - 9788811810421

“La coscienza di Zeno”, romanzo più famoso dello scrittore Italo Svevo, rappresenta uno degli apici della letteratura italiana di inizio Novecento. Completamente immerso nel clima culturale di quegli anni, nella crisi delle certezze, Svevo racconta la vita di Zeno Cosini in sette capitoli più una Prefazione. I capitoli non narrano la vicenda seguendo la cronologia degli eventi, ma sono organizzati nematicamente: ognuno di essi si occupa di un ambito, di un aspetto della psicologia di Zeno, il protagonista-narratore. L’espediente del racconto in prima persona produce una narrazione volutamente non oggettiva, una narrazione nevrotica: una delle tematiche affrontate (e forse quella centrale) è la psicanalisi. Il prologo, infatti, è una finzione letteraria che vede un fantomatico psicologo, il Dottor S., rivelare al lettore che pubblica il diario del suo ex paziente Cosini per vendicarsi dell’abbandono da parte di Zeno della terapia: lo psicologo, ferito nell’orgoglio professionale, si vendica in questo modo. Già da questo inizio è evidente il punto di vista dello scrittore. Altra tematica centrale è l’inettitudine di Zeno, che lo porta a sposare una donna che non ama e che, nel finale apocalittico.

Una delle opere più caratterizzanti del ventesimo secolo è “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo (Aaron Ettore Schmitz), composto nel 1923. Questo romanzo è in realtà un testo autobiografico, che nella finzione letteraria era necessario ad un psicologo per svolgere la psicoanalisi del protagonista, Zeno Cosini, che accusa una costante inadeguatezza nella vita, ritenuta da lui sintomo di una malattia. Questo testo attacca la psicoanalisi, terapia che in quel tempo andava affermandosi, attraverso il protagonista, che decide di abbandonarla ritenendola inutile; per vendicarsi il dottor S. pubblica le memorie che, per suo volere, Zeno aveva steso. Di quest’ultimo si narrano vari eventi che costituiscono gli snodi fondamentali della sua vita, come ad esempio il vizio del fumo, l’odio verso il padre, il matrimonio e molto altro. Non si ha solamente la narrazione degli eventi, ma anche riflessioni dello “Zeno auctor” che ripensa a quali sentimenti provasse in quelle situazioni ed analizza i rapporti che instaurava con altri personaggi in maniera distaccata. Gli argomenti sono molteplici, e spaziano in numerosi ambiti: vengono esaminate le relazioni differenti con il padre e con la madre, i rapporti confusi con il sesso femminile (tra mogli e amanti) o con il mondo del lavoro, e quindi con i suoi colleghi. Nel finale Zeno riuscirà a guarire, anche senza psicoanalisi, grazie alla coscienza dell’inettitudine, all’essere consapevole dei propri limiti, fattori che lo rendono libero; invece i personaggi che lui ritiene sani si sentono normali e quindi non avvertono alcuna necessità di cambiamento. Ho molto apprezzato questo libro, e lo consiglio vivamente a chi si interessa di psicologia, poiché da questo libro può trovare fonte di riflessioni profonde sulla natura dell’uomo.

Scrive Gesualdo Bufalino che "Zeno Cosini, uomo cosa, uomo di troppo, quanto più sembra frugarsi e svelarsi tanto più si nasconde dietro preziose malefedi e schermi d’amore, coltivando - in guerra col medico che potrebbe, magari, guarirla - la sua nevrosi come fosse un vizio da camera". ’La coscienza di Zeno’, autobografia rovesciata di "un’esistenza d’atti mancati", alla lettura dimostra quanto ineliminabile e infetta sia la propensione umana alla menzogna: in pagine di diario, in pagine di romanzo, in letteratura come forma scritta di una bugia. Di fatto Zeno Cosini mente (sulle sigarette che non ha mai abbandonato; sulle relazioni amorose non portate a compimento; sulla paura di morire ch’è paura di vivere) e mente, sapendo di mentire, per celare ulteriormente la propria evidente natura d’inetto, di fallito, di uomo soltanto "mezzo riuscito". Vengono così evocate scuse e disguidi, mancanze e destini, sogni e parvenze che avrebbero alterato "il naturale corso delle cose" facendo del malato una vittima, delle sue difficoltà una punizione subita, della sua degenza uno stazio celato dalle parole. "Adesso che sono qui, ad analizzarmi, sono colto da un dubbio: che io forse abbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa la colpa della mia incapacità? Chissà se cessando di fumare io sarei divenuto l’uomo ideale e forte che mi aspettavo di essere?". Lacerti improvvisi d’una consapevolezza fugace, lucente ed amara, sono "apparenza balorda e veritiera" in un diario ch’è il diario di un bugiardo.