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La dama di picche e altri racconti - 9788845913921

di Puskin Aleksandr Sergeevic Landolfi I. (cur.) edito da Adelphi, 1998

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Informazioni bibliografiche del Libro

 

Quando Puskin decide di far prosa continua a fare versi. Si direbbe sia un errore: è un destino inevitabile. Quest’uomo grigio, colto, solitario e dissidente, che fu nobile zarista e proprietario di terre e anime, fu innanzitutto gran poeta e, come poeta, ebbe a confrontarsi con una tradizione consolidata. D’improvviso parve stancarsi di far versi: stanco delle rime, stanco degli spazi vuoti, stanco d’allusioni, rimandi, di discorsi che gli apparivano incompleti. Provò a far racconti. Non s’accorse d’essere rimasto un poeta. Alle spalle Puskin, nel genere prescelto (la narrativa breve) non aveva che poche ombre di piccoli scrittori, psudo-classici che nessuno più leggeva: potè, dunque, inventare una nuova prosa russa. Non seppe che far, meravigliosamente, una nuova metrica. Lo conferma Pasolini che, in merito, scrive che "Puskin, in quanto poeta in versi, è del tutto scoperto come inventore di racconti: essi sembrano essere una diretta emanazione materiale di lui". La sua festosità, la sua leggerezza, la sua celerità di dettato e la sua propensione al frondoso ed ineffabile dimostrano che rimase un gran poeta pure quando scrisse in prosa. Così concepisce le sue chiacchiere con minuti pretesti, un puro scorcio immaginato cui cerca di dar moto per strofe irregolari, arabeschi messi in fila, per strofe che s’accumulano non una sotto l’altra bensì una dopo l’altra. Di strofa in strofa Puskin compone la sua frase. Di frase in frase compone le sue pagine, di pagina in pagina redige i suoi racconti. Di racconti saranno i tomi, i libri, le raccolte. Puskin rimase poeta, pur scrivendo in prosa. Non è un caso che la traduzione recensita sia di Tommaso Landolfi, il più "poeta tra gli scrittori" secondo Pasolini.

Recensione Unilibro a cura di Alex Toppi

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"La dama di picche e altri racconti"
La poesia e la prosa
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4

Quando Puskin decide di far prosa continua a fare versi. Si direbbe sia un errore: è un destino inevitabile. Quest’uomo grigio, colto, solitario e dissidente, che fu nobile zarista e proprietario di terre e anime, fu innanzitutto gran poeta e, come poeta, ebbe a confrontarsi con una tradizione consolidata. D’improvviso parve stancarsi di far versi: stanco delle rime, stanco degli spazi vuoti, stanco d’allusioni, rimandi, di discorsi che gli apparivano incompleti. Provò a far racconti. Non s’accorse d’essere rimasto un poeta. Alle spalle Puskin, nel genere prescelto (la narrativa breve) non aveva che poche ombre di piccoli scrittori, psudo-classici che nessuno più leggeva: potè, dunque, inventare una nuova prosa russa. Non seppe che far, meravigliosamente, una nuova metrica. Lo conferma Pasolini che, in merito, scrive che "Puskin, in quanto poeta in versi, è del tutto scoperto come inventore di racconti: essi sembrano essere una diretta emanazione materiale di lui". La sua festosità, la sua leggerezza, la sua celerità di dettato e la sua propensione al frondoso ed ineffabile dimostrano che rimase un gran poeta pure quando scrisse in prosa. Così concepisce le sue chiacchiere con minuti pretesti, un puro scorcio immaginato cui cerca di dar moto per strofe irregolari, arabeschi messi in fila, per strofe che s’accumulano non una sotto l’altra bensì una dopo l’altra. Di strofa in strofa Puskin compone la sua frase. Di frase in frase compone le sue pagine, di pagina in pagina redige i suoi racconti. Di racconti saranno i tomi, i libri, le raccolte. Puskin rimase poeta, pur scrivendo in prosa. Non è un caso che la traduzione recensita sia di Tommaso Landolfi, il più "poeta tra gli scrittori" secondo Pasolini.